C’ho messo un po’ a capire cosa mi piace della metropolitana.
È il profumo delle pastiglie dei freni.
A Parigi, aveva lo stesso odore delle panetterie con le baguette alle noci
E poi il fatto che basta inciampare
Basta distrarsi
Per essere scomposti in un Pollock di endocarpi e tessuti
Così poco è sufficiente
Per cancellare i nostri nomi dal libro della Vita.
Se le scale mobili sono lunghe a sufficienza
Non capisci più se stai salendo
O sul punto di essere inghiottito.
Mentre le salgo, o le scendo
Comunque stando fermo
realizzo
come vorrei sei mani
per reggere tutti gli ingombri
che ho reputato necessario
portare con me
E come vorrei dodici intestini,
per poter digerire i piatti di tutti questi ristoranti
la catena messicana
il take away eritreo
quel posto dei ramen.
E otto piedi
Per quadruplicare la velocità del city sightseeing
E cinque cervelli
Per godere contemporaneamente in cinque corpi diversi
Ché non è la fantasia
Ma il ricordo
La miglior materia per l’autoerotismo.
Se togliessi alla mia storia
Tutte le parole pronunciate
Solo per autodeterminarmi
Rimarrebbero solo quelle per ordinare da mangiare
E quella volta che le dissi
“Come sei bella
chissà che vita noiosa devi avere avuto
per essere così”
Eppure io non riesco a ricordare niente
Chi ero, quand’ero altrove
La sensazione del caldo, quand’è inverno
La pelle d’oca quando m’annoio
Devo correre
Per essere ovunque
Come per il portiere del Subbuteo
Come per gli elettroni
Diventiamo solidi
solo
Se siamo in movimento.