Sono stato spesso infedele ai cieli
Quando da sotto, in filigrana, ne intuivo la trama
E principiava l’accumulo quotidiano della noia.
Ogni mattina, la stessa presenza, la stessa ferita
Sulla fronte l’idea di un’anima spuntava
Come i nuovi palchi nei cervi giovani,
all’inizio della primavera.
Per uscire dal cono di massa in cui sono avvolto
Servirebbe un’infinita concentrazione di energia
Il dono di estinguere il tempo, come la luce della candela
Ma io raccolgo a stento le mie parti davanti allo specchio
Sono solo corpo disperso, membra, cavità, una lieve aritmia.
Spesso sono stato infedele ai cieli
Da quando ho scoperto l’inganno ricorrente dei cirri
Da quando ho ascoltato l’inno della Grande Ruota
Che rimpiazza la voce di Dio
L’insufficienza delle sue leggi
L’entità esterna che ci invia i sogni la sera
Per riconoscere la nostra vera identità.
Sono stato spesso infedele ai cieli
Il sovrano a cui obbedisco è il corpo
Il mio corpo è il luogo assoluto
Le cose si dispongono intorno a lui, rispetto a lui
Uscirne produrrebbe la scissione dell’atomo
Un evento per cui non c’è sufficiente concentrazione di volontà.
Nell’ultima notte in cui sono infedele ai cieli
Non cerco che uno sguardo amico
Per vedere da fuori
le mie palpebre chiuse.